Aglianico del Vulture
Il Vino DOC dei vitigni del Vulture
Storia, caratteristiche e qualità del vitigno più famoso del Sud Italia
L’Aglianico del Vulture è un vino DOC del vitigno Aglianico, la cui produzione è consentita nella zona del Vulture, situata a nord della provincia di Potenza (Basilicata). Con oltre 1500 ettari di superficie iscritta all’Albo dei vigneti e dei vini DOC, è annoverato tra i più grandi vini rossi d’Italia.
Zone di produzione dell’Aglianico
Secondo l’articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica in data 18 febbraio 1971, che conferisce il marchio DOC al vitigno, i comuni interessati alla produzione dell’Aglianico del Vulture sono i seguenti:
Rionero, Barile, Rapolla, Ripacandida, Ginestra, Maschito, Forenza, Acerenza, Melfi, Atella, Venosa, Lavello,Palazzo San Gervasio, Banzi, Genzano di Lucania, escluse le tre isole amministrative di Sant’Ilario, Riparossa e Macchia del comune di Atella.
Caratteristiche organolettiche
- Colore: rosso rubino intenso, con l’invecchiamento assume riflessi aranciati;
- Odore: armonico e cresce in intensità e gradevolezza con l’età;
- Sapore: asciutto, minerale, sapido, caldo, armonico, giustamente tannico, con l’invecchiamento diventa sempre più vellutato.
Tecniche produttive
L’Aglianico del Vulture è ottenuto dalla vinificazione in purezza delle uve appartenenti al vitigno omonimo, che si trova nei vigneti ubicati ai piedi del Monte Vulture, un vulcano spento da millenni. In questa zona l’Aglianico viene coltivato fino a 800 metri di altitudine, ma trova le condizioni più propizie fra i 200 e i 600 metri.
Esistono due diciture per indicare il tempo di invecchiamento: Superiore, per un minimo di tre anni, e Superiore Riserva, per un minimo di cinque ed il suo grado alcolico va dagli 11,5 ai 14 gradi. La resa delle uve in vino non deve essere superiore al 70%.
Non può essere messo in commercio prima di un anno dalla vendemmia ed è preferibile consumarlo a partire dal terzo anno di età, giacché regge bene diversi anni di invecchiamento.
Cenni storici dell’Aglianico del Vulture
L’Aglianico del Vulture (come tutti i vitigni appartenenti all’Aglianico) ha origini molto remote e si ritiene che sia stato introdotto dai greci nel sud Italia tra il VII-VI secolo a.C. Altre fonti storiche che certificano l’antichità di questo vitigno sono costituite dai resti di un torchio dell’età romana ritrovati nella zona di Rionero in Vulture e da una moneta bronzea raffigurante l’agreste divinità di Dionisio, il cui culto fu poi ricondotto a quello di Bacco, coniata nella zona di Venosa nel IV secolo a.C.
L’origine del suo nome è incerta, c’è chi sostiene che sia ispirato all’antica città di Elea (Eleanico), sulla costa tirrenica della Lucania, e chi lo considera una semplice storpiatura della parola Ellenico. Gli antichi romani lo ribattezzarono poi “Vitis Ellenica” e lo sfruttarono per produrre il vino Falerno. Si narra che Annibale, dopo aver sconfitto i romani nel 212 a.C, avrebbe mandato i suoi soldati nel Vulture a curarsi con i vini della zona.
Una delle testimonianze storico-letterarie sulla storia di questo vitigno sono state lasciate da Orazio, poeta latino originario di Venosa che esaltò le bellezze della sua terra e il vino in questione.
Durante il dominio svevo, Federico II promosse la coltivazione del vitigno. Nel 1280 Carlo I d’Angiò, in vista di un soggiorno estivo a Castel Lagopesole con la corte angioina, ordinò al giustiziere di Basilicata la fornitura di 400 salme (pari a 185 litri) di vino autoctono, da lui chiamato “vino rubeo Melfie”. Inoltre, il sovrano angioino emanò disposizioni per la tutela dei vigneti regi e condannò il secreto Costantino Caciole di Trani per essersi disinteressato ai vigneti di Aglianico del Vulture di Melfi. I vini del Melfese, graditi ai regnanti svevi e angioini, furono anche richiesti ed apprezzati dai mercanti fiorentini dell’epoca.
Successivamente si ebbe un notevole incremento della viticultura, legato anche ai nuovi impieghi del vino, come nella celebrazione della messa e nella medicina, fino al punto di modificare profondamente il paesaggio delle campagne. Nel XV secolo i vigneti occupavano interamente le pendici del Monte Vulture tra Melfi, Rapolla e Barile. Le fonti di quel periodo citano il “vino rosso di Melfi” (che secondo Michele Carlucci doveva essere Aglianico). Le cantine erano spesso ricavate nelle grotte (a Melfi, un inventario del 1589 ne registrava 110). Ancora oggi le cantine di molte importanti case vinicole, sono sistemate nelle vecchie grotte.
Il nome originario (che sia stato Elleanico o Ellenico) fu cambiato nell’attuale Aglianico durante la dominazione aragonese nel corso del XV secolo, a causa della doppia ‘l’ pronunciata ‘gl’ nell’uso fonetico spagnolo.
Nell’Ottocento, l’Aglianico del Vulture era molto richiesto dai cantinieri napoletani per correggere e arricchire i vini della provincia di Napoli. All’Esposizione Internazionale di Milano del 1906 partecipano anche dieci campioni di vino del Vulture. Pierre Viala e Victor Vermorel, i curatori di Ampélographie. Traité général de viticulture, dedicano uno spazio all’Aglianico nel famoso trattato di ampelografia parigino, a cui avevano collaborato una équipe internazionale di 70 ampelografi.
Nell’agosto 2010 la tipologia “Superiore” è divenuta DOCG.
Il 24 marzo 2012, Poste Italiane ha emesso francobolli raffiguranti i vini di 15 Regioni d’Italia, tra questi uno è dedicato all’Aglianico del Vulture.